30 Giugno 2025

Struttura e contenuto: l’ordine giusto per costruire un patrimonio che duri

Molte famiglie si avvicinano alla gestione patrimoniale con l’idea di dover scegliere i migliori strumenti, i migliori fondi, le migliori opportunità. È una spinta naturale, quasi istintiva. Si comincia dal contenuto, cioè da ciò che si acquista, da ciò che si vede. Azioni, obbligazioni, ETF, polizze, magari anche qualche investimento in private equity o qualche fondo tematico. Ma raramente ci si ferma a riflettere su una domanda basilare: attraverso cosa sto comprando questi strumenti? Come ho costruito l’impalcatura che regge tutte queste scelte? Chi decide effettivamente per me e con quali vincoli operativi, giuridici e fiscali?

Non è un dettaglio. È la base. Ogni investimento vive all’interno di una struttura. E la struttura, se non è chiara e coerente, può generare danni silenziosi. Può annullare vantaggi fiscali, moltiplicare costi, rallentare l’operatività, creare sovrapposizioni inutili. Eppure, questo elemento resta spesso in secondo piano. Perché? Perché il sistema tradizionale si regge sul prodotto. Chi lo propone – che sia banca, promotore o assicuratore – ha interesse a parlare del contenuto. Il contenitore, invece, rimane implicito. Non viene discusso, non viene analizzato, non viene quasi mai messo in discussione.

Il risultato è che ci si trova a gestire portafogli costruiti nel tempo in modo spontaneo, per accumulazione e non per progetto. Ci si ritrova con cinque, sei, anche otto relazioni bancarie diverse. Ma perché così tante? La risposta più comune è: per diversificare il rischio. Ma rischio di cosa, esattamente? È davvero una buona strategia frazionare un patrimonio tra più banche senza una regia unitaria? Si guadagna sicurezza o si perde controllo? E che tipo di rischio si sta cercando di mitigare? Quello di credito? Quello operativo? O, forse più spesso, quello percepito, quello che nasce dalla mancanza di trasparenza e dalla paura che un solo interlocutore non sia abbastanza.

Avere più banche può dare un senso di protezione, ma nella realtà significa moltiplicare le barriere, i costi, i tempi. Significa perdere potere contrattuale. Significa non poter compensare minusvalenze con plusvalenze. Significa, soprattutto, non avere una visione aggregata. E senza visione aggregata, non esiste gestione. Esistono tanti frammenti che convivono senza un disegno. Ecco perché il punto di partenza non può mai essere il contenuto. Il punto di partenza deve essere la struttura.

 

Struttura e contenuto: due concetti da distinguere chiaramente

 

La struttura rappresenta il “come”. È il sistema attraverso il quale si accede ai mercati, l’insieme dei veicoli, dei rapporti e delle configurazioni legali, fiscali e operative che permettono al contenuto di esistere e funzionare. È ciò che tiene insieme il patrimonio, ne governa i flussi, ne determina la flessibilità, ne condiziona la fiscalità e la trasmissibilità. Lavorare sulla struttura implica definire una strategia preventiva, volta a massimizzare l’efficacia gestionale e a mitigare i rischi non strettamente finanziari, come quelli fiscali, successori o giuridici.

Il contenuto, invece, è ciò che si compra concretamente sul mercato: titoli, fondi, polizze, ETF, derivati, strumenti di risparmio gestito o amministrato. È la componente visibile, quella che generalmente riceve la maggior parte dell’attenzione nelle strategie di investimento tradizionali. Ma il contenuto, da solo, non garantisce efficienza né coerenza. Un ottimo strumento inserito in un contenitore sbagliato può diventare un problema.

Ecco perché parlare solo di performance significa osservare la superficie. Per comprendere davvero un portafoglio, bisogna analizzare ciò che lo sostiene: le deleghe operative, le intestazioni, le modalità di gestione, le regole fiscali applicabili. Non è sufficiente chiedersi “cosa ho comprato?”, ma piuttosto “come ho organizzato quello che possiedo?”.

 

Perché la struttura viene trascurata

 

Nella maggior parte dei casi, le famiglie non ricevono una vera consulenza sulla struttura. Questo accade perché molti operatori lavorano all’interno di confini predefiniti. Chi lavora per un intermediario ha il compito di proporre prodotti, non di mettere in discussione il contenitore. È un limite sistemico. La consulenza si concentra sul cosa, non sul come.

Eppure, è proprio il come che fa la differenza nel lungo periodo. Un patrimonio ben strutturato è più facile da gestire, più efficiente da un punto di vista fiscale, più pronto ad adattarsi alle evoluzioni familiari, più protetto da imprevisti legali o successori. È anche più leggibile, perché ogni sua parte ha una funzione chiara.

Trascurare la struttura, invece, espone a rischi invisibili. Rischi che non si vedono subito, ma che si manifestano nel tempo, magari in occasione di un evento improvviso: un decesso, una separazione, un passaggio generazionale, una crisi di mercato. Solo allora ci si accorge di non avere il controllo pieno della situazione.

 

Le domande giuste da porsi:

 

Prima ancora di scegliere uno strumento, è necessario porsi alcune domande essenziali:

  • Qual è il veicolo giuridico e fiscale più adatto per detenere questo patrimonio?
  • Le relazioni bancarie sono necessarie o ridondanti?
  • Le deleghe gestorie sono coerenti tra loro e trasparenti?
  • I rapporti sono compatibili con un’eventuale pianificazione successoria?
  • Esiste una visione aggregata del patrimonio o tutto è distribuito in modo disordinato?
  • Quanto costa davvero ogni configurazione attuale? Quali sono i costi espliciti e impliciti?

Queste domande non servono a sostituire strumenti con altri. Servono a costruire una cornice coerente in cui ogni scelta futura abbia un senso.

 

Segnali di disordine patrimoniale:

 

Ci sono alcuni campanelli d’allarme che indicano una struttura da rivedere:

  • Troppe relazioni bancarie, spesso ereditate nel tempo, senza un piano organico. In media, famiglie con patrimoni superiori al milione di euro detengono 6,4 conti bancari, con punte superiori a 10 rapporti attivi. Questo comporta una dispersione operativa e fiscale che ostacola qualsiasi coordinamento.
  • Strumenti simili detenuti in sedi diverse, che impediscono la compensazione fiscale. In oltre il 70% dei casi analizzati, risultano presenti polizze e fondi sovrapposti presso più intermediari. Una configurazione che rende inefficace la gestione delle minusvalenze, generando costi invisibili e riducendo l’efficienza fiscale.
  • Presenza di polizze vita o fiduciari senza un chiaro obiettivo o comprensione degli effetti successori. Spesso tali strumenti vengono utilizzati senza alcuna pianificazione successoria o senza consapevolezza dei loro effetti patrimoniali e fiscali in caso di discontinuità.
  • Deleghe gestorie attivate senza consapevolezza su chi abbia realmente il potere di operare. In oltre la metà delle situazioni esaminate, le famiglie non conoscono il reale soggetto delegato alla gestione, né hanno chiarezza sulle modalità operative, sui vincoli o sulle responsabilità legali.

In questi casi non si tratta solo di ottimizzazione: si tratta di recuperare il controllo. Di sapere con precisione dove si è, prima di decidere dove si vuole andare.

 

Una struttura ideale non è una formula fissa

 

Ogni famiglia ha una storia, una composizione, delle esigenze e degli obiettivi propri. Per questo non esiste una “struttura perfetta” uguale per tutti. Esiste però un metodo per costruire quella giusta: partire dall’analisi, dalla comprensione profonda dell’esistente, per poi intervenire con modifiche mirate, proporzionate, coerenti.

Una buona struttura è snella, flessibile, manutenibile. È costruita per adattarsi al cambiamento, non per irrigidirsi. Consente di avere una visione unitaria, ma anche di distinguere tra le diverse componenti del patrimonio: quelle più liquide da quelle illiquide, quelle a breve termine da quelle di lungo periodo, quelle personali da quelle familiari o aziendali. Consente soprattutto di prendere decisioni in modo rapido, informato, consapevole.

 

Prima la struttura, poi tutto il resto

 

Una buona struttura non si improvvisa, si progetta. E prima ancora di progettarla, va capita, studiata, osservata. È solo attraverso un’analisi rigorosa e metodica che si può iniziare a costruire qualcosa di solido. Le decisioni d’investimento, i contenuti del portafoglio, le scelte tattiche, vengono solo dopo.

Il contenuto, da solo, non è mai sufficiente. Anche la migliore selezione di strumenti finanziari può rivelarsi inefficace se inserita in un impianto disfunzionale. Senza la giusta struttura, si rischia di perdere efficienza, flessibilità, capacità di adattamento. Si rischia di non poter reagire al cambiamento, di trovarsi bloccati nel momento in cui servirebbe agilità.

Governare un patrimonio significa prima di tutto costruirne le fondamenta. E se le fondamenta non sono solide, ogni livello superiore sarà instabile. Per questo motivo, l’ordine corretto per costruire ricchezza non è una preferenza metodologica, ma una necessità tecnica. Prima la struttura. Poi tutto il resto.